Un po’ perchè non sempre si trovano articoli che abbiano qualcosa di interessante da dire sui videogiochi, un po’ perché non reggevo più la vista del post precedente.
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Non c’è un’altra forma di intrattenimento che separi in modo così netto l’universo dei fan da tutti gli altri. I libri, il cinema, la tv, la danza, il teatro, la musica, la pittura, la fotografia, la scultura hanno il loro pubblico. Ma anche chi non se ne interessa sa che queste forme di cultura esistono e che ci sono eventi importanti per i loro appassionati. Nel caso dei videogiochi non è così. Ci sono le persone che ci giocano e c’è il resto del mondo, per il quale semplicemente i videogame non esistono. E che viene a saperne qualcosa solo quando un giornale pubblica una di quelle notizie tragiche in cui il protagonista è sempre un ragazzo mentalmente disturbato che si è “ispirato” a un videogioco per fare qualcosa di terribile.
L’invisibilità dei videogiochi è un fenomeno interessante. E inoltre fa in modo che in alcuni giochi succedano cose interessanti senza che il mondo della cultura se ne accorga.
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Di John Lanchester, da London Review Of Books
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Ho avuto la fortuna di poter essere stato utente di uno dei primi
home computer, in particolare del mitico Commodore 64.
La novità di possedere un qualcosa più potente di una semplice
calcolatrice scientifica ti metteva nelle condizioni di sentirti
protagonista di un qualcosa di speciale. Si entrava a far parte
di vere e proprie combriccole di amici, tutti appassionati allo
stesso modo, che si riunivano come rappresentanti di una gilda segreta
in casa di uno di loro, intenti a scambiarsi i primi, esoterici listati
in BASIC o partecipare a violenti scambi di opinioni talvolta sulle marche
produttrici di home computer, altre volte sull’ultima novità
videoludica piovuta dal cielo. Inaspettatamente le case venivano
trasformate in porti di mare, dove accadeva di vedere arrivare
flussi di amici ad ogni ora del giorno per discutere dell’ultimo videogioco
futuristico o per un estenuante torneo all’ultimo sangue al
gioco multiplayer del momento. Internet non era neanche lontanamente
immaginabile e forse per questo non se ne sentiva la mancanza.
Tanto il modo di incontrarsi lo si trovava sempre per trascorrere
qualche ora in feroci sessioni videoludiche. Nessuno dei parenti riusciva a
capire come potessero tanti ragazzetti scalmanati chiudersi in una
stanza ed isolarsi in maniera totale dal mondo esterno per ore ed ore.
Mi ritorna sempre in mente che venivamo guardati come alieni dalla
gente, come soggetti estraniati dalla normale(?) quotidianità e per questo da emarginare. Portare in mano un floppy da 5.14″ all’epoca
agli occhi dei passanti ti bollava come povero ed incompreso
ragazzo dedito a perdere tempo con quegli aggeggi infernali.
Peccato per loro che di lì a non molto lo sviluppo della tecnologia
in maniera così invasiva nella società li avrebbe travolti come una valanga.
Essere stato protagonista di un’evoluzione così radicale e repentina,
ti pone in una posizione privilegiata quando leggi la pubblicità dell’ultimo
super-mega-ultra viodeogioco completo di motore 3D con effetti virtuali
iper-realistici da giocare rigorosamente on-line ma soprattutto isolati
dal mondo esterno. Constatare che per un gioco del genere vengono
smossi un investimento di risorse ed una campagna pubblicitaria
follemente dispendiosi oltreché una valanga di addetti allo sviluppo mi fa
pensare alla complessità del punto in cui si è arrivati.
A me viene da sorridere perché noi ci divertivamo di più
con una quantità infinitamente inferiore di pixel, e soprattutto
stando insieme ad amici che, come il sottoscritto, erano pionieri
volontari di un qualcosa di speciale.
Sì, dopo 24 o 48 ore gli articoli sono a pagamento 🙁
Corretto con la versione originale in inglese.
@Istruttore: sei un reduce nostalgico
Ne sono consapevole, ma il pezzo di articolo che ho letto
nel post mi ha ricordato quell’era informatica che ovviamente
può essere compresa fino in fondo solo da chi l’ha vissuta…